Gli atti normativi inibitori delle attività produttive, commerciali e professionali (D.L. n. 6 del 23 febbraio 2020 e successivi DPCM) hanno inciso profondamente sull’equilibrio dei rapporti tra locatori e conduttori nei contratti di locazione di immobili ad uso commerciale.
La domanda che molti imprenditori e commercianti si pongono, e sulla quale si stanno interrogando anche gli operatori del diritto, è se (o in che misura) il conduttore sia tenuto a pagare i canoni anche per i mesi in cui non ha potuto usufruire appieno dell’immobile perché colpito dai divieti governativi.
Il problema è evidente: da un lato il peso della crisi economica scaturita da quella epidemiologica non può gravare solo sui conduttori già fortemente penalizzati, che sarebbero tenuti a pagare i canoni pur non potendo godere dell’immobile, dall’altro lato è difficile ipotizzare che il danno venga trasferito sic et simpliciter sui locatori, cui non può certo imputarsi un inadempimento contrattuale.
Per il momento vi sono solo poche pronunce giurisprudenziali, peraltro interlocutorie trattandosi di problematiche di stretta attualità e viste le difficoltà in cui versano gli Uffici Giudiziari in tutta Italia. E’ di pochi giorni fa il provvedimento adottato dal Tribunale di Venezia, che ha sospeso l’escussione di una fidejussione prestata a garanzia di canoni non pagati da un esercizio commerciale nel periodo di lockdown.
In assenza di un intervento specifico del legislatore, che nel decreto rilancio si è limitato a trattare la questione solo sotto il profilo fiscale, riconoscendo un credito di imposta che non incide sulle obbligazioni gravanti sulle parti del contratto di locazione, la questione può essere affrontata solo alla luce della normativa codicistica e della dottrina.
I temi da affrontare sono molteplici e variegati, con differenze legate anche alla specificità del singolo caso concreto.
Certamente v’è un punto fermo: l’impossibilità della prestazione (o meglio, l’impossibilità parziale giacché il conduttore ha mantenuto pur sempre il possesso dell’immobile e l’ha potuto utilizzare parzialmente, quantomeno come deposito per le proprie merci o strumenti di lavoro) non è imputabile al locatore ma deriva da un factum principis, ovvero dai divieti normativi di cui è cenno sopra. Il conduttore, pertanto, non potrebbe rifiutarsi di pagare invocando l’articolo 1460 c.c. (eccezione di inadempimento).
Qualcuno ha ravvisato la soluzione nel combinato disposto degli articoli 1258 e 1464 c.c. ipotizzando che il conduttore possa, alla luce di queste due norme, quantomeno pretendere una riduzione della prestazione dovuta, e quindi del canone, per le mensilità in cui non ha potuto godere appieno dell’immobile.
E’ presto per dire se questo sarà l’indirizzo prevalente dei Tribunali e delle Corti d’Appello o se prevarrà un orientamento diverso e più favorevole ai locatori, sul presupposto dell’eccezionalità, temporaneità e non imputabilità del lockdown.
Per il momento basti questa riflessione: una soluzione di buon senso, equilibrata e rispettosa del principio di buona fede contrattuale (art. 1375 c.c.), può essere raggiunta anche stragiudizialmente nel dialogo tra le parti e con l’utilizzo degli strumenti a loro disposizione tra cui negoziazione assistita e mediazione.
In tale ottica, l’intervento immediato dell’avvocato può essere di grande aiuto perché il professionista può mettere la propria esperienza e competenza a disposizione dell’assistito già in fase pre-contenziosa favorendo il dialogo con la controparte.
Lecco, 29 maggio 2020
Avv. Fabio Brusadelli