L’Università degli Studi di Bergamo, con la collaborazione della Fondazione Manuel Serra Dominguez, ha organizzato un convegno tenutosi il 5 dicembre 2019 ed avente ad oggetto la giurisprudenza creativa. L’Avvocato Fabio Brusadelli dello Studio Associato è stato membro del comitato organizzativo.
Incentrato sulle regole processuali di creazione giurisprudenziale, dal giudizio di merito sino alle corti di legittimità, l’incontro di studio ha affrontato anche profili di diritto processuale comparato, grazie ai contributi di relatori spagnoli che hanno illustrato, tra l’altro, l’opera dell’insigne giurista cui la Fondazione è intitolata.
Introduce e modera l’Avvocato Daniela D’Adamo, Professoressa aggregata di diritto processuale civile dell’Università degli Studi di Bergamo ed organizzatrice dell’evento.
Nel suo intervento, circoscrive il tema del convegno alla “formazione di nome processuali da introduzione giurisprudenziale”, evidenziando sin da subito come la figura del Giudice-Legislatore, al quale pure si deve riconoscere un ruolo emergente e di grande rilievo nell’odierno sistema di produzione delle regole processuali, non solo non è prevista da alcuna fonte normativa, ma parrebbe in contrasto con taluni capisaldi del nostro ordinamento, quali su tutti l’articolo 101 della Costituzione, l’articolo 12 delle preleggi e l’articolo 65 della Legge sull’Ordinamento Giudiziario.
La creazione giurisprudenziale del diritto processuale è, tuttavia, un fenomeno al quale assistiamo di continuo, e dobbiamo allora interrogarci sull’opportunità che ad una legislazione spesso “sciatta” si ponga rimedio attraverso una giurisprudenza creativa.
L’intervento successivo è ad opera di Francisco Ramos Romeu, professore titolare de Derecho Processal en la Universitad Autonoma de Barcelona.
Il professore osserva come si assista alla creazione del diritto nei tribunali iberici in due momenti distinti: da un lato nel corso dell’attività giurisdizionale e, dall’altro lato, nel corso dell’attività amministrativa e di autogoverno dei tribunali.
In Spagna, come altrove, è molto sentita l’esigenza di ottenere pronunce conformi per casi analoghi, in attuazione del principio di uguaglianza. Ciò non di meno, l’analisi e lo studio del principio dello stare decisis non sono ancora compiutamente sviluppati.
La regola dello stare decisis, che può essere sintetizzata come la pratica di seguire il precedente giurisprudenziale, assume rilievo s9otto molteplici profili di indagine. Anzitutto il tema può essere sviluppato con riguardo alle decisioni assunte in senso verticale o orizzontale. L’ordinamento spagnolo, alla stregua di quello italiano, prevede un Tribunal Supremo (assimilabile alla nostra Corte di Cassazione), le cui pronunce sono di complemento a quelle dei giudici di merito, ma non le vincolano, ed un Tribunal Costitutional (assimilabile alla nostra Corte Costituzionale), che ha il ruolo di interpretare la costituzione. Rilevano, poi, le pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e della Corte Europea dei diritti dell’Uomo. In senso orizzontale, le corti spagnole non sono vincolate a seguire il precedente di pari corti territoriali.
In definitiva, non v’è un obbligo legale o formale di seguire il precedente giurisprudenziale, fatta salva l’osservanza del principio di uguaglianza nell’applicazione della legge per casi simili, previsto dalla costituzione.
Nei tribunali spagnoli – specie nelle materie in cui non si rinviene una giurisprudenza consolidata – si assiste ad un proliferare di prassi e pratiche individuali.
Prolifera, dunque, la pratica dei protocolli, come detto utilizzati sia per regolare l’attività giurisdizionale dei tribunali, sia nel corso della loro attività amministrativa e di autogoverno. Tali protocolli hanno la duplice funzione di unificare i criteri di giudizio e dettare regole di stile e di redazione degli atti processuali. Presso le corti d’appello spagnole, questa pratica è in continuo aumento, specie dal 2015.
Come avviene in Italia, i protocolli non sono soggetti a pubblicazione e sono privi di vincolatività erga omnes; si tratta per lo più di documenti da carattere piuttosto informale, noti prevalentemente ai soli giuristi.
A differenza di quanto avviene nell’esperienza italiana, in Spagna è frequente l’utilizzo di protocolli formati dalle corti giurisdizionali per la regolazione di eventi particolari (es. fiere, congressi, manifestazioni). Ciò li rende “temporanei” e limitati a singoli eventi e zone od “occasioni” circoscritte. Ne è esempio anche piuttosto recente il protocollo adottato a Barcellona sulla legge n. 1/2019 in materia di segreto commerciale. Il rischio insito a questo tipo di strumenti è che vadano ad incidere in maniera difforme su diritti o situazioni di fatto analoghe, creando una disparità di trattamento suscettibile di ledere il principio di uguaglianza.
Esempio, invece, di protocollo finalizzato alla creazione di regole di redazione degli atti è quello adottato dall’Assemblea dei Magistrati della Corte d’Appello di Madrid (2019), il quale contiene specifici parametri sul numero massimo di pagine di un atto, sull’interlinea da utilizzare, sulla spaziatura ecc.
Preso atto di questa realtà e di questa tendenza in continua espansione, Francisco Ramos Romeu pone, infine, degli interrogativi: dove risiede il fondamento di questi protocolli ? quali interessi prendono in considerazione ? lo fanno in modo del tutto imparziale (specie laddove siano “dedicati” a singoli eventi) ? Tra questi interrogativi, una certezza: senza dubbio essi vanno ad incidere sui diritti soggettivi delle parti.
In conclusione del proprio intervento, il professore evidenzia come manchino regole che disciplinino la produzione di tali strumenti. Sarebbe forse auspicabile che vengano previste delle garanzie anche nell’ambito della produzione giurisprudenziale del diritto.
Il relatore successivo è il Professor Lotario Dittrich, Ordinario di diritto processuale civile all’Università di Trieste. Il suo contributo è dedicato alla creazione giurisprudenziale di regole processuali nel giudizio di merito.
Entra subito nel merito illustrando la storica percezione che i giuristi italiani hanno delle regole processuali: “una sorta di gabbia formale che protegge le parti nei confronti del Giudice”. Altra inveterata concezione (o idea filosofica), di derivazione illuministica, è che la legge debba necessariamente essere un prodotto dello Stato. Prosegue sostenendo che non è necessariamente cosi e non deve esserlo.
Non possiamo negare, difatti, che di frequente è il giudice che crea, modifica o abroga norme processuali. Tipico esempio di abrogazione giurisprudenziale di una regola del processo riguarda il “calendario del processo” di cui all’articolo 81 bis delle disposizioni di attuazione al c.p.c. – in vigore dal luglio del 2009 e sostanzialmente disapplicato in quasi tutti i tribunali italiani.
Quando si parla di creazione giurisprudenziale del diritto processuale, occorre tuttavia fare un distinguo: non basta la decisione di un singolo giudice, il quale nel disapplicare una norma processuale o nel dare ad essa un’interpretazione non conforme al suo dettato letterale sta semplicemente….sbagliando (!). Occorre invece un’ opinio juris, ossia un interpretazione conforme da parte di una pluralità di giudici. Un input alla formazione di un’ opinio juris può essere dato semplicemente dalla presenza di giudici-coordinatori (quali, ad esempio, i presidenti di sezione) che Dittrich definisce “illuminati”, i quali siano in grado di introdurre degli orientamenti univoci e condivisi.
Il giudice del primo grado ha un’ampia possibilità di introdurre usi normativi. Non va taciuto, poi, che le prassi del singolo Foro spesso nascono dalla collaborazione tra i due attori principali del processo: giudici ed avvocati. Non a caso, anche nel linguaggio corrente, si parla di protocolli condivisi.
Ricollegandosi ai contenuti del contributo del prof. Ramos Romeu, Dittrich sottolinea come anche in Italia sia in espansione e sia molto vitale il fenomeno dei protocolli. Se ne contano un centinaio nei vari tribunali del territorio.
E’ possibile individuare due elementi che influiscono in modo determinante nella creazione di regole giurisprudenziali (e degli stessi protocolli): aspetti sociologici, come traspare dal contenuto dei numerosi protocolli adottati in materia di separazione e divorzio e prassi consolidate e costanti. Si pensi, a tale ultimo proposito, alle prassi adottate a far data dai primi anni 2000 dal Tribunale di Monza relativamente alle vendite nelle esecuzioni immobiliari, che sono state in seguito recepite dal legislatore nell’ultima riforma del processo espropriativo immobiliare.
In ogni caso, il fenomeno non va visto con sospetto o considerato alla stregua di una violazione dell’idea illuministica di riservare al solo Stato la creazione del diritto.
A conclusione del proprio contributo, il prof. Dittrich esprime il parere che il fenomeno della creazione giurisprudenziale del diritto processuale sia destinato ad aumentare nel tempo, andando ad erodere il principio di provenienza statale del diritto. Si va, forse, verso una progressiva decodificazione anche del diritto processuale, quale conseguenza della globalizzazione in atto e tramite un avvicinamento ai sistemi anglo-americani di common law (in espansione e già recepiti nei paesi trainanti dell’economia mondiale quali la Cina).
Il quarto contributo, intitolato “Tutela cautelare e giurisprudenza creativa” è ad opera di Stefano Alberto Villata, professore Associato di diritto processuale civile all’Università degli Studi di Milano.
Osservato, preliminarmente, che il procedimento cautelare si presta particolarmente ad un’integrazione delle proprie regole da parte del giudice, anche per il solo fatto che è disciplinato dal codice in modo molto più elastico e meno minuzioso, si deve tener conto del fatto che il provvedimento cautelare è spesso la prima ma anche l’ultima parola che viene pronunciata in un giudizio. Ciò perché taluni provvedimenti cautelari sopravvivono alla mancata instaurazione del giudizio di merito (669-octies c.p.c.) o, per semplici contingenze, non necessitano di un seguito.
La natura – priva di decisorietà – dei provvedimenti cautelari, ne esclude l’impugnabilità in Cassazione. L’unica eccezione è data dall’articolo 363 c.p.c. che facoltizza il Procuratore Generale, quando il provvedimento non sia ricorribile, a chiedere che la Corte enunci il principio di diritto cui il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi, nell’interesse della legge. Abbiamo tuttavia pochissime applicazioni. Se ne trae l’assenza di un controllo generalizzato e la conseguente facilità nella creazione di diverse prassi in ogni singolo tribunale.
Ne potrebbe derivare il rischio di un possibile vulnus al principio di uniformità nella tutela di diritti identici o analoghi. Tale rischio, si interroga il relatore in chiusura del suo intervento, può forse essere ridimensionato per il tramite di una cauta apertura al giudizio di Cassazione sui cautelari ? Certo è che la Corte di Legittimità, già pesantemente oberata, non accoglierebbe con favore una tale espansione delle proprie sfere di competenza.
La seconda parte del convegno si apre con un contributo di Belen Mora Capitan, titolare della cattedra di Derecho Processal de la Universitad Pompeu Fabra, che affronta il tema della giurisprudenza creativa nel giudizio innanzi al Tribunal Supremo spagnolo.
Se ci si interroga sul valore del precedente nell’ordinamento spagnolo o sulla possibilità per la Corte Suprema di creare norme processuali, non si può non rilevare una contraddizione di fondo. La norma processuale che regola il giudizio innanzi alla Corte Suprema prevede che la stessa non possa dettare regole e istruzioni generali vincolanti per le corti subalterne. Tuttavia non manca una disposizione secondo la quale è motivo legittimo di ricorso avanti il Tribunal Supremo quello tendente a denunciare la violazione di un precedente della stessa Corte. La contraddizione non è stata eliminata nemmeno con l’ultima novella del codice di procedura civile spagnolo (2000), che ammette il ricorso alla Corte Suprema per violazione di un precedente nel merito (ma non di rito).
Lo stesso tenore letterale del codice di procedura non aiuta a sciogliere questa contraddizione: si dice infatti che il precedente non ha forza vincolante ma “deve rilevare come atto dotato di rilevanza giuridica”.
La relatrice arriva quindi ad affermare che potrebbe quasi parlarsi di una “schizofrenia del legislatore”, che da un lato nega il valore vincolante del precedente e, dall’altro, lo afferma. Ne è esempio un articolo del codice civile spagnolo il quale affida alla Corte Suprema il compito di pronunciare sentenze che assurgano al rango di valori degni di essere reiterati.
Il legislatore spagnolo, per la relatrice, ha dunque ben chiara l’opportunità di attuare il principio dello stare decisis, ma non è riuscito a tradurlo in norme chiare.
Si potrebbe ipotizzare che la creazione giurisprudenziale del diritto da parte del Tribunal Supremo possa vulnerare il principio democratico. Semplificando: se il giudice, che non è eletto dal popolo è facoltizzato a creare diritto, allora quello stesso diritto è espressione di un potere non eletto, e pertanto non democratico.
Si osserva poi, specie negli ultimi decenni, una tendenza opposta tra i sistemi di civil law e quelli di common law. Mentre i primi, come abbiamo visto, tendono ad una decodificazione delle norme processuali attraverso l’impulso creativo della giurisprudenza, i secondi abbandonano gradualmente la loro plurisecolare tradizione e muovono verso una cauta regulation del processo.
In conclusione può dirsi che nel sistema spagnolo il precedente è vincolante non per legge, ma per un concatenarsi di fattori che spingono in quella direzione, tra cui necessità di certezza giuridica ed uguaglianza tra casi analoghi.
E’ il turno del professor Antonio Carratta, Ordinario di diritto processuale civile all’Università Roma Tre, che ha il compito di approfondire il tema nell’ambito del giudizio in Cassazione.
L’espandersi incontrollato della creatività nella giurisprudenza di cassazione, specie in ambito processuale, può costituire un rischio.
All’analisi bisogna però far precedere un inquadramento sistematico: nella nostra epoca il diritto e l’ordinamento fanno perno sul processo e sul giudice, più che sul legislatore. Assistiamo, quindi, ad un notevole cambio di prospettiva, quasi che “quale che sia il testo della legge, il contenuto della norma lo individua il giudice”. E’ quindi venuto meno il nesso tra testo normativo e regola applicata. Si tratta di una patologia ? Non necessariamente.
Esempio lampante di questa tendenza è stato dato dalla Cassazione con la recentissima sentenza n. 4135 del 2019, nella cui motivazione di legge: “la norma non è il presupposto o l’oggetto dell’interpretazione”. Tale affermazione non può essere riguardata altrimenti che come un cambio di prospettiva o un ribaltamento dei ruoli.
La funzione nomofilattica individuata dal Calamandrei si è gradualmente tramutata in funzione nomopoietica. La norma processuale applicabile è individuata dalla Cassazione, interpretata e modificata dalla Cassazione e quindi, in definitiva, da essa stessa creata. La Suprema Corte supera, così, il suo tradizionale ruolo di nomofilachia, e si potrebbe parlare oggi di nomofilachia creativa.
Solo così argomentando trova spiegazione il fatto che la Cassazione spesso incide sulle norme processuali che si applicano al rito avanti a sé, modellandolo a proprio uso e piacimento.
Da ultimo il professor Carratta, ricollegandosi ai temi trattati dai suoi predecessori al convengo, evidenzia come anche la nostra Suprema Corte esprima un netto favor per la pratica della condivisione di protocolli. Ne è esempio il protocollo adottato col CNF per la redazione del ricorso, dal quale si desume il principio di sinteticità che viene spesso richiamato nelle sentenze.
E’ singolare questo aspetto: la Cassazione spesso cita un principio – quello, appunto, di sinteticità – che non può desumersi dalla legge ma che è ricavabile dal protocollo. Non sarebbe eccessivo, quindi, desumerne che il protocollo è trattato alla stregua di una fonte del diritto.
L’ultimo intervento al convegno è quello della dott.ssa Laura Giraldi, Presidente della Terza Sezione Civile del Tribunale di Bergamo.
Cambia quindi il punto di vista dal quale l’argomento è trattato: non più quello della dottrina o dei giuristi, ma quello di un Magistrato e quindi dell’attore principale del ruolo creativo di cui si discorre.
La relazione muove da una considerazione di carattere generale: la società si evolve in continuazione e, con essa, deve evolversi anche il diritto, che non sempre può attendere gli interventi del legislatore. Il Giudice, specie quello di primo grado, deve relazionarsi con le parti – destinatarie delle sue pronunce – e deve essere in grado di interpretarne in qualche modo le esigenze in relazione alla sensibilità sociale. Serve quindi mantenere un equilibrio tra il bisogno di certezza nell’ordinamento ed i bisogni individuali delle parti.
Secondo la dott.ssa Giraldi, l’intervento integrativo, modificativo o abrogativo del giudice è necessitato in taluni casi dall’evidente lacunosità delle norme introdotte dal legislatore.
Norme mal scritte si prestano a differenti interpretazioni o devono essere necessariamente integrate per poter funzionare.
Vengono citati alcuni esempi di norme processuali imperfette, che non potrebbero garantire uniformità di giudizi perché affette da evidenti lacune.
L’ultimo esempio, forse quello più significativo, muove dal tenore letterale dell’articolo 164 bis delle disposizioni di attuazione al c.p.c. La norma, introdotta evidentemente per ridurre il numero di procedure espropriative pendenti sollevando i Tribunali da un eccessivo carico di lavoro, è incomprensibile sin nella rubrica, ove il termine “infruttuosità” non può godere di un’interpretazione chiara e uniforme. Il legislatore ha lasciato ampia libertà interpretativa ai giudici, non delineando sufficientemente il concetto di “ragionevole soddisfacimento” o subordinando la decisione ad un concetto vago ed indeterminato quale il “presumibile valore di realizzo” dei beni espropriati. Si tratta quindi di una norma mal formulata che lascia troppo spazio alla discrezionalità del giudice.
In conclusione, il potere di incidenza del giudice sulle norme del processo è enorme, anche e soprattutto a causa del modo in cui le stesse sono formulate. La procedimentalizzazione della processo da parte del giudice è però necessaria, anche al fine di ordinarlo e velocizzarlo.
Conclude il convegno, con un secondo intervento, Lotario Dittrich, che ricollegandosi ad un tema evidenziato soprattutto dagli ospiti spagnoli, osserva come non si debba enfatizzare il possibile deficit di democraticità (o violazione del principio di legalità) che la creazione giurisprudenziale del diritto potrebbe portare come stortura del sistema. E’ noto, infatti, che l’ufficio legislativo del Ministero della Giustizia, ove si redige la quasi totalità delle leggi quasi all’insaputa dei parlamentari che si limitano ad approvarle, è composto da Magistrati. Da sempre, quindi, i giudici hanno “creato” diritto, e non ci si deve preoccupare se lo fanno dai tribunali. Certo è che sullo sfondo resta un interrogativo: chi controlla i controllori ? Non è infatti immaginabile un organo di controllo della Suprema Corte.
Avv. Fabio Brusadelli